giovedì 29 gennaio 2009

Hannah Arendt contre Marx?

Hannah Arendt contre Marx? – si chiede Arno Münster già nel titolo del suo libro (Hermann, pp. 412). Il punto interrogativo è giustificato, se si riflette sull’evoluzione della filosofa qui indagata. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale Arendt si esprime positivamente non solo su Marx, cui attribuisce il merito di aver espresso il meglio della «tradizione ebraica» (con il «suo zelo fanatico per la giustizia»), ma anche per l’Urss di Stalin: essa si era distinta per il «modo, completamente nuovo e riuscito, di affrontare e comporre i conflitti di nazionalità, di organizzare popolazioni differenti sulla base dell'eguaglianza nazionale»; si trattava di un modello «cui ogni movimento politico e nazionale dovrebbe prestare attenzione» (i due scritti qui citati sono The Moral of History e Zionism Reconsidered, rispettivamente del gennaio 1946 e dell’ottobre 1945). Ancora le prime due parti delle Origini del totalitarismo, assieme al Terzo Reich, mettono in stato d’accusa principalmente la Francia per quanto riguarda l’antisemitismo e la Gran Bretagna per quanto riguarda l’imperialismo. E’ solo nella terza parte, scritta dopo lo scoppio della guerra fredda, che l’Urss di Stalin e la Germania di Hitler sono accostate in quanto espressione del «totalitarismo»; a partire di qui Arendt si impegna a ricercare già in Marx le origini di questo flagello.

Proprio a questa terza parte si rivolgono le preferenze di Münster (p. 115). E’ un atteggiamento assai discutibile. A suo tempo, appena pubblicate, Le origini del totalitarismo furono recensite da Golo Mann, il quale scrisse: «Hannah Arendt dedica due terzi della sua fatica all’antisemitismo e all’imperialismo, e soprattutto all’imperialismo di matrice inglese. Non riesco a seguirla». Ad «essere veramente in tema» era solo la terza parte! Dunque, sarebbero fuori tema le pagine dedicate da Arendt all’antisemitismo e all’imperialismo; eppure si tratta di spiegare la genesi di un regime, quello hitleriano, che ambiva a edificare in Europa orientale un impero coloniale fondato sul dominio di una pura razza bianca e ariana. Sennonché, lo storico tedesco pubblicava la sua recensione su una rivista «Die Neue Zeitung», che già nel sottotitolo chiariva di essere «la rivista americana in Germania» (nr. 247, 20/21 ottobre 1951). Dal punto di vista dell’ideologia occidentale della guerra fredda l’assimilazione dell’Urss al Terzo Reich era un imperativo categorico!

Si spiega così il successo incontrato dalla categoria di totalitarismo. E, tuttavia, persino uno degli autori del Libro nero del comunismo ha riconosciuto che la prima «“matrice” dello stalinismo» è stato «il periodo della prima guerra mondiale» (N. Werth, La terreur et le désarroi, Perrin 2007, p. XIV) E dunque il «totalitarismo» sovietico è il risultato in primo luogo dello stato d’eccezione che investe la Russia a partire dal 1914, a partire cioè da una gara imperialista per l’egemonia i cui principali protagonisti sono due paesi dell’Occidente liberale (l’Inghilterra e la Germania). E’ la confutazione definitiva del discorso sviluppato nella terza parte delle Origini del totalitarismo!

Fin qui il mio dissenso con Münster. Concordo invece con lui, allorché egli sottolinea il «pregiudizio reale e inespugnabile nei confronti del marxismo» presente in Arendt (p. 360). Riccamente documentato, il libro di Münster è l’occasione, al di là delle intenzioni del suo autore, per liberarsi una volta per sempre dal timore reverenziale che la sinistra nutre per Arendt.

Domenico Losurdo

(pubblicato su «l’Humanité» del 26 gennaio 2009)

2 commenti:

  1. Domenico, il testo non si può leggere correttamente. Potresti inviarmelo per una eventuale traduzione?

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  2. (sono Antonio J. Antón -dubuffet@... )

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