martedì 27 gennaio 2009

Rimettere in discussione la categoria di “stalinismo”

di Paola Pellegrini, responsabile cultura PdCI
in corso di pubblicazione su "la Rinascita"

“C’è stato un tempo in cui statisti illustri – quali Churchill e De Gasperi – e intellettuali di primissimo piano – quali Croce, Arendt, Bobbio, Thomas Mann, Laski – hanno guardato con rispetto, simpatia e persino con ammirazione a Stalin e al paese da lui guidato. Con lo scoppio della Guerra fredda e soprattutto col Rapporto Chruscev, Stalin diviene invece un “mostro”, paragonabile forse solo a Hitler. Darebbe prova di sprovvedutezza chi volesse individuare in questa svolta il momento della rivelazione definitiva dell’identità del leader sovietico, sorvolando disinvoltamente sui conflitti e gli interessi alle origini della svolta. Il contrasto radicale tra le diverse immagini di Stalin dovrebbe spingere lo storico non già ad assolutizzarne una, bensì a problematizzarle tutte.” Domenico Losurdo riapre la riflessione sulla figura più demonizzata del movimento operaio: il rivoluzionario giorgiano Iosif Vissarionovič Džugašvili. Lo fa analizzando il 900 con una comparatistica a tutto campo, decostruendo e contestualizzando le accuse mosse a Stalin. È un libro importante, appassionante, in grado di riaprire la discussione su Stalin e l’Urss in questa fase segnata solo dall’anticomunismo e dal revisionismo più becero sull’intera vicenda europea di resistenza al nazifascismo.

Enorme la mole di riferimenti storiografici su cui il libro fonda alcune delle sue più significative tesi. A partire da quella che rivela come “non c’è movimento storico che non possa essere sottoposto ad analoga criminalizzazione (di quella cui è sottoposto lo stalinismo)”. Losurdo disamina la storia del liberalismo affermando che anch’esso può essere criminalizzato se ci si concentra sulla sorte inflitta ai popoli coloniali. La stessa argomentazione vale per la storia dell’Islam, che potrebbe essere considerata solo come la storia di conquiste sanguinose e spietate. Ed ugualmente le medesime argomentazioni potrebbero valere per il cristianesimo.

Losurdo critica tale approccio che finisce per consegnarci un quadro della storia quale un'unica storia universale del crimine, e il passato in quanto tale, come affermava Gramsci, apparirebbe una “grottesca vicenda di mostri”. Il paradosso, ricorrente della storia e del dibattito politico dello stesso movimento operaio e comunista vede, di fronte “alla riduzione a crimine o a follia criminale della vicenda iniziata nell’ottobre del ‘17, autori e personalità. impegnati a difendere l’onore del comunismo. reagire prendendo le distanze dalle sue pagine più dure, bollandole come tradimento o degenerazione degli originari ideali della rivoluzione ovvero degli insegnamenti di Lenin o di Marx”. In questo modo“la storia del movimento comunista in quanto crimine, tracciata in modo trionfante dall’ideologia dominante, viene confermata anche da coloro che si vogliono opporre all’ideologia dominante. Questo approccio fa “dileguare la storia reale, che viene sostituita dalla storia di una sciagurata e misteriosa corruzione e distorsione delle dottrine a priori innalzate nell’empireo della purezza e della santità”. Losurdo, in sostanza, sostiene che tale approccio da un lato impedisce di contestualizzare le vicende storiche, dall’altro che la categoria del “tradimento” imporrebbe, al contrario, di indagare davvero il nesso tra teoria e sua realizzazione. Il libro ci mostra ampiamente che quasi tutta la storiografia odierna rifiuta sdegnosamente questo approccio, impegnata com’é a criminalizzare la storia della rivoluzione a partire dai suoi presupposti teorici. La “teoria non è mai innocente”, ma se ciò vale per Marx, deve valere anche per altri intellettuali di diverso e opposto orientamento: Locke e John Stuart Mill sono da considerare dunque direttamente responsabili dei misfatti dell’occidente liberale (visto che Locke, teorico della tolleranza, era un sostenitore della schiavitù e Mill teorizzava il dispotismo dell’occidente sulle “razze minorenni” e il carattere benefico della schiavitù imposta alle tribù selvagge). “Come la teoria, anche l’utopia non può rivendicare alcuna innocenza”: é una tesi, dice Losurdo, giustamente sostenuta dai liberali, che però non la applicano a loro stessi, tacendo sui costi umani e sociali dell’utopia del libero mercato. Le “idee originarie” (attesa messianica di una società senza più Stato, senza confini nazionali, senza mercato e denaro) peraltro molto lontane da quelle praticate davvero da Stalin!, hanno giocato un ruolo nefasto in URSS, ostacolando a più riprese il passaggio ad una condizione di normalità, prolungando e acutizzando lo stato d’eccezione: pur comprensibili in quella tragica ed eroica esperienza che è stata rivoluzione e guerra civile, scontro sulle prospettive e sulle necessità, in quello che Losurdo definisce un ininterrotto “processo di apprendimento”, gli accessi di “purezza ideologica”hanno potuto condurre al fanatismo. I due approcci criticati da Losurdo (criminalizzazione e tradimento) concentrano l’attenzione sulla natura criminale o traditrice di singole individualità:“di fatto essi rinunciano a comprendere lo svolgimento storico reale e l’efficacia storica di movimenti politici e religiosi che hanno esercitato una capacità planetaria di attrazione e la cui influenza si dispiega in un arco di tempo assai lungo” Losurdo giudica fuorviante questo metodo anche quando è applicato a Hitler: “troppo comodo mettere le infamie del nazismo esclusivamente sul suo conto, rimuovendo il fatto che egli ha preso dal mondo a lui preesistente, radicalizzandoli, due elementi centrali della sua ideologia, razzismo, missione colonizzatrice dei bianchi e lettura della rivoluzione d’ottobre come minaccia per la civiltà. Ciò si spiega solo con “il peso che agiografia e demonizzazione continuano ad esercitare nella lettura del novecento e il “culto negativo degli eroi”. Losurdo sostiene che solo smontando le leggende della storiografia si può ragionare sulla storia e aggredire anche la storia del capitalismo.

In vita Stalin è stato oggetto di ammirazione di numerosi, e diversi tra loro, ambienti culturali e politici. La vittoria di Stalingrado fu speranza e diede forza rinnovata a tutti i combattenti contro il nazifascismo. Perfino Churchill, nel discorso pronunciato a Fulton con cui apre la guerra fredda, parlò con “grande rispetto e ammirazione per il valoroso popolo russo e per il mio compagno dei tempi di guerra, il maresciallo Stalin”. Più della guerra fredda, infatti, è un’altra vicenda storica a imprimere una svolta radicale alla storia dell’immagine di Stalin: il rapporto segreto di Kruscev del 1956. Losurdo, se da un lato demolisce le ricostruzioni degli storici (quelli antisovietici), così come le tesi di Trockij o di Kruscev, dall’altro esamina gli anni di Stalin inserendoli nel contesto di un paese perennemente alle prese di una condizione eccezionale, accerchiato ed isolato e minacciato dall’interno e dall’esterno. Uno stato di conflitto permanente (la formazione dell’URSS, l’industrializzaizone, la collettivizzazione forzata dell’agricoltura, l’alfabetizzazione di massa, la creazione di uno stato sociale di massa, i continui tentativi di restare fuori dalla guerra imposta da Hitler, la vittoria sul nazismo e le infinite lotte interne al partito): la politica di Stalin consentì all’Urss di sconfiggere i nemici interni ed esterni salvando la rivoluzione, permise lo sviluppo industriale e sociale, consentì di sconfiggere il nazismo durante la seconda guerra mondiale e consolidò uno Stato che rappresentò un potente motore per tutti i movimenti anticoloniali.

Se quindi legge lo stalinismo come esito non della sete di potere di un singolo, né di un’ideologia, ma dello stato d’eccezione permanente che investe la Russia, il contributo più grande del libro è proprio quello di rimettere in discussione -in quanto fuorviante e da collocarsi nella sfera del “mito”- la categoria stessa di “stalinismo”.

Ma sarebbe deluso chi si aspettasse di trovarvi negati fatti tragici: é un saggio problematico, che compara situazioni, con pagine illuminanti sui gulag e sui campi di concentramento e sulle stragi compiute dagli apologeti del libero mercato, pagine di storia dimenticate dai soloni della "democrazia" come lo sterminio dei comunisti in Indonesia con il golpe di Suharto appoggiato dagli americani; che demolisce una volta per tutte la più infamante accusa mossa nei confronti di Stalin, di essere come Hitler. Con grande spazio viene trattato il rapporto di Stalin con l'ebraismo (confutatando in radice l'accusa postuma e palesemente strumentale nel clima della guerra fredda) che Stalin fosse un antisemita). Un libro che rimette non solo e non tanto l’onore a Stalin, ma che riaggancia alla storia grande e terribile del 900 l’intera vicenda dell'URSS, riaprendo così anche la ricerca sul suo retaggio universale, quello da cui hanno preso le mosse tutti i grandi movimenti di liberazione anticoloniale, di trasformazione sociale e di emancipazione dal capitalismo.

1 commento:

  1. I've just read your book about Stalin and I think it's great. I want to read some of the books you listed in the bibliography. I didn't realize the debate about Stalin was so important until I read about it in your book. Your argument about Stalin is brilliant. I mean the importance that Stalin has for the working class movement and its future. It's absolutely necessary to see through the forest of lies of the capitalist propaganda. They have succeeded in totally disorienting the communist movement. Up to the point that it has given up the goal of establishing a socialist society on account of that highly distorted version of what happened in the Soviet Union. They created a myth that persists mainly because the "left" has given it credibility. Thank you for contributing such an illuminating work for communists and for humanity in general.

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